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Atteso, desiderato, voluto, venerdì 21 marzo si è infine concretizzato l’incontro tra una rappresentanza di FeLCeAF e l’Arcivescovo Mons. Delpini.

Sollecitato dal Presidente Mosca, l’Arcivescovo ha condensato la prima parte della sua relazione attorno a tre parole: fiducia, speranza, ecclesialità.

Nonostante la sproporzione tra il lavoro che attende ogni singolo consultorio e i mezzi a disposizione, gli operatori – ha incalzato l’Arcivescovo – si devono contraddistinguere per la fiducia, che suscita l’inventiva in grado di trovare le soluzioni giuste. Senza la pretesa di avere sempre risposte pronte, consapevoli che ci basta la “sua grazia”: «la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). Lungi, quindi, dall’essere preda dello scoraggiamento, Mons. Delpini ha invitato gli operatori dei consultori – ed è la seconda parola – ad essere persone di speranza. Non ingabbiati in programmazioni esigenti (pure necessarie), ma seminatori di buone azioni e proposte in grado di aiutare le persone che a noi si rivolgono, molto spesso gravate da problemi di cui pochi altri si fanno carico. Su quest’ultimo punto si innesta il terzo invito: la dimensione ecclesiale. È pur vero che le persone che giungono ai consultori chiedono aiuto per risolvere problemi specifici, tuttavia l’azione consultoriale non può limitarsi a questo aspetto; è necessario conoscere la proposta di pastorale famigliare – entro la cui sfera è compreso il lavoro di FeLCeAF – perché le famiglie hanno bisogno, una volta risolta l’emergenza, di vivere in una trama di rapporti concreti.

Certo, sottolinea l’Arcivescovo, per questo lavoro è richiesta una buona dose di coraggio e soprattutto un’adeguata preparazione. Coraggio, perché non bisogna aver timore di presentare la proposta antropologica cristiana; preparazione, perché questa proposta deve essere conosciuta e condivisa. La sacrosanta libertà di scelta non collide con la possibilità di presentare la vita come risposta ad una vocazione (cfr. Proposta pastorale per l’anno 2023-24 “Viviamo di una vita ricevuta”), nella sua distinzione di maschile e femminile. Nessuno ha – né deve avere – la pretesa di incasellare le persone dentro categorie predefinite, però è necessario proporre un’idea meno angusta di libertà, coincidente sostanzialmente con la possibilità di fare ciò che si vuole.

Si innesta qui una criticità, che riguarda soprattutto gli adulti. Troppo spesso ci troviamo di fronte ad adulti stanchi, sfiduciati, che spengono nei ragazzi il desiderio di crescere. In questo caso il lavoro degli operatori consultoriali, oltre alle prestazioni specifiche, diventa anche quello di irradiazione: testimoniare che è bello essere adulti, compiere delle scelte, avere una disciplina nelle dinamiche affettive, e tanto altro ancora.

In conclusione, l’Arcivescovo segnala due possibili proposte di lavoro. La prima è l’accompagnamento delle famiglie con figli e figlie omosessuali, certamente interfacciandosi con l’ufficio di pastorale familiare, che ha già avviato qualche percorso. Senza la pretesa di avere risposte, ma consapevoli della responsabilità anche in questo ambito.

La seconda proposta riguarda il tema degli abusi in famiglia: una piaga devastante anche se quasi assente a livello mediatico.

«I consultori sono come antenne sul territorio». Questa frase, ripetuta dall’Arcivescovo, mette bene in luce l’importanza e la responsabilità affidata ad ogni operatore consultoriale: a favore di una società – per dirla con don Edoardo Algeri – «in cui tutte le ferite saranno curate, perché ci saranno tanti samaritani».

don Davide Bonazzoli - Consulente etico FeLCeAF

 

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