Al corso di alta formazione organizzato dall’Ufficio di pastorale familiare della Cei e dall’Università Cattolica il significato dell’accompagnare e del prendersi cura delle fragilità della famiglia.
Dall’11 al 20 luglio scorso, l’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia ha promosso il Corso di Alta Formazione per operatori di pastorale familiare Familiae cura con la collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Sotto la guida di padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio Cei e con la direzione scientifica della prof.ssa Livia Cadei, docente di pedagogia in Cattolica, il corso che è giunto al suo secondo anno, ha offerto ad alcune decine di coppie, ma anche a sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiosi, l’opportunità di approfondire il senso e il metodo dell’accompagnare, educare e prendersi cura della famiglia a livello pastorale. Il corso ha offerto una proposta di approfondimento sistematica sulla vita di coppia e di famiglia non solo sul piano teorico, ma anche esperienziale, integrando gli aspetti teologici e pedagogici. Sullo sfondo le indicazioni centrali di Amoris laetitia, sull’opportunità di formare le coscienze offrendo criteri non casuali per quanto riguarda l’accoglienza delle fragilità di coppia, l’accompagnamento, l’integrazione delle varie modalità relazioni nella comunità cristiana. Di grande interesse, accanto alle proposte accademiche dei docenti, sono risultati i laboratori in cui tutte le coppie hanno avuto l’opportunità di approfondire e mettere a frutto le indicazioni teoriche confrontandole con gli aspetti esperienziali e con le buone prassi di ascolto e di accompagnamento.
Sul senso e sugli obiettivi dei laboratori ospitiamo due contributi. Il primo di Livia Cadei, il secondo dei coniugi Emma Ciccarelli e Pier Marco Trulli, referenti del Corso Alta Formazione dell’Ufficio nazionale Cei di pastorale della famiglia
Livia Cadei
Accompagnare qualcuno significa “né precedere, né mostrare il cammino, né tirarlo in avanti perché si rischierebbe di indicargli il nostro cammino al posto del suo. Non si tratta nemmeno di seguirlo sospingendolo perché si rischierebbe di non aver altro obiettivo di farlo avanzare, senza sapere verso dove” (M. Vial, N. Caparros-Mencacci, L’accompagnement professionnel ? Méthode à l’usage des praticiens exerçant une fonction éducative, De Boeck, Bruxelles, 2007, p. 35).
Il tema dell’accompagnamento contraddistingue il percorso di questa annualità del Corso di alta formazione. Per gli operatori di pastorale familiare, si tratta di intraprendere una formazione articolata in approfondimenti utili ad acquisire competenze non solo di livello accademico, ma strumenti conoscitivi e concreti per accompagnare le coppie e le famiglie che incontrano nel corso del mandato affidatogli nelle loro diocesi.
A vantaggio dei soggetti cui la pastorale familiare si rivolge, essi possono operare con l’obiettivo di accrescere nelle persone la visione della realtà, di considerare nuove ipotesi, di riflettere sulla validità delle proprie azioni, delle proprie analisi e dei propri progetti. I partecipanti al corso di alta formazione sono ingaggiati nella conoscenza, ma pure sono operatori che domandano concretezza. Sono tutte persone già esperte con cui è possibile avviare processi di confronto e condivisione; impegnate nel servizio e altrettanto attente e desiderose di crescere in prima persona, così come coppia coniugale.
L’impianto laboratoriale sul tema dell’accompagnamento è stato affidato ad operatori dei consultori familiari, per la specifica competenza e qualità del servizio offerto da questi presidi territoriali. Alcuni rappresentanti della rete dei Consultori Familiari di ispirazione Cristiana (CFC) e dell'Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali (UCIPEM) hanno progettato e realizzato congiuntamente il percorso.
I quattro laboratori pomeridiani sono stati ideati per offrire ai partecipanti l'opportunità di esplorare e riflettere sul valore, sul significato e sulla pratica di un processo relazionale in cui i percorsi di vita sono sostenuti dalla presenza di un altro che accompagna. L’accompagnamento si avvale del dispositivo educativo che permette a quanti vengono accompagnati di rinnovare la propria dinamica di azione, con l'obiettivo di definire itinerari di progettazione esistenziale e reciproca umanizzazione.
Nello specifico del percorso proposto, è stato possibile condividere riflessioni in merito alle qualità proprie della dinamica di accompagnamento, da non confondere con alcuni significati prossimi quali guidare, condurre, consigliare, orientare….e dell’accompagnatore, né coach, né tutor, né peer…per acquisire consapevolezza circa la capacità di diventare compagni di strada e prendere parte ad un processo, ma pure circa il rischio da assumere senza la sicurezza del risultato, che necessita una notevole flessibilità ad accogliere le prospettive, le istanze e le esigenze di cui le famiglie sono portatrici.
Si è trattato anche di accostarsi alla pratica di accompagnamento della coppia e dei gruppi, sperimentando posture volte a riconoscere, a confermare e a prestare ascolto all’altro. Colui che accompagna non si pone in primo piano ma pure se resta discreto, ‘modesto’ poiché non dirige colui che accompagna, tuttavia, non è nella posizione di inferiorità. Al tempo stesso, è l’accompagnato al centro dell’azione, poiché è il beneficiario dell’accompagnamento e poiché è lui che sceglierà il traguardo e la strada. L’accompagnatore non esercita l’autorità nella scelta e nell’elaborazione del cammino, ma si pone al servizio.
È stato importante altresì dedicare tempo e attenzione necessari per prendere consapevolezza in merito al proprio servizio come coppia accompagnatrice, in grado di porsi a fianco di altre coppie, non con la dinamica della presa in carico, ma con la concretezza di chi sa compiere una parte di cammino insieme, senza ignorare le proprie fragilità e fatiche. Altrettanto significativo è stato riconoscere gli stili relazionali che circolano all’interno di un gruppo e le grammatiche della conduzione dei gruppi.
Così, nel percorso intrapreso da circa 40 operatori ci sembra di poter cogliere la rilevanza di un modello di accompagnamento che offre stimoli per percorsi di pastorale familiare improntati alla reciprocità e al riconoscimento dell’alterità.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Emma Ciccarelli e Pier Marco Trulli
Shemà Israel! (Ascolta Israele! Dt 6,4) è la preghiera ebraica quotidiana, ripetuta continuamente per predisporre la mente e il cuore ad ascoltare Dio. Per la Bibbia, il vero credente è la persona che si apre all’ascolto, che accoglie questa parola e che poi risponde a questo invito. Paolo ai Romani dice che “la fede nasce dall’ascolto” (Rm 10). Se la fede nasce dall’ascolto, il pericolo più grave per noi diventa il non ascoltare, il non avere l’ascolto come metodologia di vita cristiana.
L’abilità di ascoltare attivamente è un requisito fondamentale non solo per costruire rapporti interpersonali solidi e significativi, ma anche per migliorare la qualità delle nostre relazioni professionali, è la premessa per conoscere meglio la Parola di Dio e per fare di un buon discernimento.
Non possiamo pensare di essere di aiuto agli altri, se prima non impariamo ad aiutare noi stessi e non sperimentiamo cosa significhi essere aiutati dagli altri.
Capire quali sono le nostre risorse e i nostri limiti, e verificare come li viviamo in un’esperienza relazionale particolare e intensa come quella sponsale e genitoriale, è un prerequisito necessario per tutti coloro che si mettono a servizio della famiglia.
La famiglia, infatti, è la scuola delle relazioni, e la coppia genitoriale è il modello che forgia le relazioni in famiglia: dallo stile con cui i genitori si amano e si donano i figli attingono per osmosi, acquisendo un bagaglio affettivo che li accompagnerà per tutta la vita.
I laboratori pensati per i partecipanti al primo anno del Corso di Alta Formazione promosso dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della CEI, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, hanno avuto come obiettivo di offrire l’opportunità a ciascun partecipante di mettere a fuoco e di prendere consapevolezza dello stato di salute delle proprie relazioni e delle qualità del proprio ascolto attivo.
Questo lavoro di consapevolezza e di autodeterminazione è stato guidato da esperti in tematiche familiari, e in particolare da alcuni consulenti familiari, che hanno aiutato i partecipanti (coppie, ma anche sacerdoti, seminaristi e singoli collaboratori diocesani) in questo viaggio esperienziale ed emotivo. Mettersi di fronte alle proprie fragilità, riconoscere che anche il nostro approccio relazionale è migliorabile, capire che ogni universo familiare deve essere affrontato “togliendosi i sandali” e mettendosi in un atteggiamento rispettoso e non giudicante è stato il percorso compiuto dagli studenti del primo anno.
I laboratori hanno toccato ciascuno un aspetto della relazione di coppia e delle dinamiche generazionali e familiari, con il supporto di una metodologia già sperimentata in varie esperienze di accompagnamento.
Nel primo laboratorio, in particolare, sono state affrontate le varie modalità di come la sponsalità viene vissuta all’interno della coppia, recuperando oltre alla dimensione passionale e amorosa anche gli aspetti meno scontati come quello dell’amicizia e della fraternità tra gli sposi e approfondendo i dinamismi del patto coniugale. Questo primo laboratorio, in sostanza, ha consentito un primo monitoraggio della vita di coppia per misurare la temperatura della relazione, per coglierne lo stato di salute e le cause di eventuali malesseri.
Il secondo laboratorio, invece, si è concentrato sul riconoscere l’influenza e l’eredità delle famiglie di origine nei nostri comportamenti coniugali e relazionali, in termini di approcci, comportamenti, sensibilità. Questo lavoro ha richiesto una riflessione su quelle che erano le caratteristiche dei propri genitori e nonni, non disgiunta anche da un esame critico dei comportamenti rilevati.
Nel terzo laboratorio si è partiti da una autovalutazione dei propri comportamenti ed abitudini a partire da una dettagliata declinazione dei vizi capitali, per poi accedere ad un confronto di coppia su questi aspetti, finalizzato anche a un lavoro specifico su tali punti.
Nel quarto laboratorio, infine, sono stati esaminati i rapporti di coppia partendo dagli aspetti relativi alla qualità della reciprocità nella coppia per andare ad individuare eventuali atteggiamenti inconsapevoli di controllo e predominio di uno dei due sull’altro.
Gli studenti hanno molto apprezzato i laboratori, vivendoli con molta partecipazione e individuando sin da subito specifici impegni di miglioramento personale e di coppia da mettere in atto per rendere la relazione più autentica e funzionale. L’adesione e il coinvolgimento personale alla proposta hanno contribuito alla riuscita dell’esperienza.
In conclusione, i laboratori hanno consentito di acquisire una maggiore consapevolezza su di sé e sullo stato delle proprie relazioni, in modo da poter utilizzare al meglio le competenze relazionali acquisite. Il servizio nella pastorale familiare è impegnativo e richiede disponibilità, preparazione teorica, esperienza concreta e attenzione al vissuto personale, empatia e capacità di accoglienza incondizionata. Richiede di saper entrare in punta di piedi nel mistero di ogni famiglia e accompagnare senza giudicare, ascoltare e accogliere anche quando il vissuto dell’altro non ci appartiene o non riusciamo a comprenderlo.
Partire dall’accogliere il proprio vissuto e i propri limiti costituisce il primo importante mattone per affrontare gli step formativi degli anni successivi del Corso di Alta Formazione in Operatori di Pastorale Familiare.
Avvenire 25 agosto 2024 _ https://www.avvenire.it/famiglia/pagine/coppie-a-scuola-di-relazioni-e-per-spiegare-ai-figli-i-segreti-dell-amore _