Introduco questo mio intervento con due premesse: la prima, nella sua preparazione mi sono innanzitutto messo in ascolto per riuscire a cogliere e per poter proporre che cosa la Chiesa e le comunità cristiane si attendono dai Consultori di ispirazione cristiana.
La seconda premessa è che mi appoggio ai contributi di don E. Algeri, già Presidente sia di CFC che di FeLCeAF, per la loro ricchezza e completezza, a cui mi permetto di fare riferimento anche perché è stato un amico con cui ho condiviso momenti di studio e di preghiera ma anche di svago come qualche biciclettata, vera sua passione.
Toccherò tre punti.
Il primo punto: la famiglia oggi e i bisogni che cambiano con la sottolineatura, e questa è un’intuizione di don Edoardo, del bisogno di sostegno della genitorialità.
Sui cambiamenti della famiglia non occorre che li descriva, li conoscete bene dal lavoro che svolgete. Ricordo solo alcuni dati del Rapporto (più di 700 pagine) che alcuni mesi fa abbiamo presentato al Papa in occasione della visita ad limina della CEL.
Nel 1995 si sono celebrati circa 18.500 matrimoni, nel 2010 furono 8.800, nel 2022 - ultimo anno disponibile - sono scesi a 4.700.
Negli anni ‘90 la media annuale delle ordinazioni sacerdotali era attorno a 40 unità, oggi siamo a 15/17. Se le ordinazioni sono diminuite del 50/60% i matrimoni sono diminuiti di oltre il 70%, ma quando si parla di crisi delle vocazioni si pensa esclusivamente ai preti mentre per la comunità cristiana il crollo dei matrimoni dovrebbe essere ancor più preoccupante.
Per non parlare dei Battesimi che in Diocesi nell’arco di diciassette anni sono diminuiti di quasi il 50% passando dai 40.000 nel 2005 a 21.000 circa nel 2022.
Questo non significa che le persone hanno smesso di amarsi, volersi bene, di vivere insieme in modi diversi. Giustamente dal punto di vista sociologico non si parla più di “famiglia” ma di “famiglie”. Don Edoardo in suo scritto ne descrive un elenco, dalla famiglia tradizionale a quella estesa, allargata, a quella mononucleare - pensate al dato impressionante dei 400 mila nuclei familiari “single” di Milano: più del doppio delle coppie senza figli e più di quattro volte delle coppie con figli - fino alle coppie, di cui si parla tanto, “child free” che scelgono di non avere figli. Di fronte a questa situazione vedo due indicazioni: la prima, esplicitamente rivolta da mons. Napolioni recentemente ai Consultori FeLCeAF: egli chiedeva, di fronte a questa realtà, di prepararsi ad incontrarle e ad accoglierle senza catalogarle, senza etichettarle, semplicemente comprendendole.
La seconda sorprendente indicazione viene da don Edoardo: paradossalmente, mentre la famiglia sembra andare a pezzi, mentre la famiglia tradizionale è diventata uno dei tanti tipi di famiglia in circolazione, mentre le sofferenze familiari, l’incomunicabilità, le tante forme di fragilità dei legami di coppia, la violenza domestica, interpellano in maniera incalzante le risposte dei Consultori, don Edoardo, prendendo atto e accompagnando un cambiamento già evidente, propone di passare da un ottica di “riparazione” - in cui si offrono risposte ai bisogni di cui le famiglie sono portatrici - alla prevalenza di una prospettiva di “prevenzione” dove si programma e si promuove una cultura della famiglia e delle relazioni familiari. Questa intuizione è interessante, ed era già presente nel documento CEI del 1991 I Consultori Familiari sul territorio e nella comunità. Documento che don Edoardo definisce autorevole e profetico e a tutt’oggi non sufficientemente esplorato e attuato, che invoca un più robusto impegno sul piano progettuale e attuativo affinché i CF non si attestino esclusivamente sul terreno riparativo della crisi di coppia ma realizzino il loro potenziale educativo e promozionale dell’autentico sviluppo della persona. Non so se questo sia realmente possibile ma mi sembra una prospettiva bella, incoraggiante.
Il Documento stesso dice che il termine stesso “Consultorio” non fa pensare a un luogo clinico di diagnosi o terapia ma rimanda ad un luogo in cui consultarsi da protagonisti non da pazienti nelle situazioni che rientrano nelle circostanze ordinarie prima che nella patologia, o che non rientrano necessariamente nella patologia. Il Consultorio quindi si caratterizza per un intervento di consulenza e sostegno in situazioni di difficoltà e cambiamento o di crescita, interviene in un momento di crisi, ma la crisi ha un duplice significato: di difficoltà ma anche di passaggio, di possibilità di evoluzione in termini positivi, situazioni che spesso sono accompagnate da incertezze e difficoltà per le quali chiedono un aiuto. Quindi per Don Edoardo questa impostazione fa emergere la genuina vocazione promozionale e preventiva dei Consultori verso la crisi familiare e non solo quella riparativa. Da quando sono stati istituiti, i Consultori si sono concentrati sulle famiglie che stanno male o su persone che stanno male nella famiglia, che hanno bisogno di cure, anche di tipo sanitario, adesso si avverte l’esigenza di affiancare a tutta questa area riparativa interventi che aiutino i genitori a svolgere il loro compito cioè a ben trattare i loro figli; oggi educare è difficile, affiancare i genitori nel loro compito educativo è un lavoro che vale di più, paga di più rispetto alla mera prevenzione del rischio o alla cura della sola patologia, senza per questo sostituire o negare questi interventi. Credo che questa indicazione di don Edoardo sia realistica e possa risultare incoraggiante.
Quindi un orientamento alla normalità, a sostenere la quotidianità delle famiglie nei loro compiti quotidiani, mettendo in campo interventi “a bassa soglia”, dove le famiglie sono considerate soggetti non oggetto, non semplicemente destinatarie ma protagoniste. In questo senso la consulenza familiare si diversifica sia dalla psicoterapia che dal counseling perché la consulenza si prefigge di mobilitare le risorse che le persone sanno di avere o che il percorso di consulenza aiuta a portare a galla agendo sulle motivazioni, sollecitando, liberando energie disponibili per affrontare le sfide di coppia e familiari.
La riflessione di don Edoardo prendo poi il volo indicando ai Consultori Familiari degli obiettivi molto ampi, che rappresentano un sogno ma con un fascino a cui è difficile sottrarsi: don Edoardo scrive che la consulenza familiare dovrebbe avere una funzione integrante, sintetica, unificante rispetto alle molteplici discipline scientifiche che approcciano le difficoltà familiari e personali. C’è una pluralità di apporti scientifici nei confronti della persona, ognuno con la propria metodologia, ma appunto occorre un luogo capace di integrare in modo sintetico e ricomporre i diversi livelli in cui si articola l’unità della persona. Sul piano organizzativo il Consultorio, scrive don Edoardo, dovrà svolgere il ruolo di chi tira le fila, fa la regia, superando la parcellizzazione degli interventi, formando gli operatori, raccordando gli interventi che intervengono in una situazione familiare. Don Edoardo esemplifica le modalità concrete con cui il Consultorio esce, non aspetta la domanda di aiuto, entra nella comunità, nei luoghi della quotidianità della famiglia, l’ospedale ,la scuola, anche con interventi di domiciliarità, raccordando il lavoro di chi opera, educatori, insegnati, pediatri, volontari, medici di famiglia.
Un secondo punto riguarda l’ispirazione cristiana dei Consultori, qual è in particolare il rapporto con la pastorale familiare. Non è sempre stato chiaro che il Consultorio NON svolge un’azione di pastorale familiare, in passato è successa questa sovrapposizione quando per esempio la preparazione al matrimonio veniva fatta quasi esclusivamente nel Consultorio. Si è però fatta chiarezza, distinguendo e definendo la complementarità tra Consultori e strutture della pastorale. Il Consultorio oggi è visto non come una struttura pastorale ma come finalizzata alla promozione umana delle persone e delle coppie, che non è del resto così estranea alla più ampia opera di evangelizzazione. Su questo punto il Direttorio di pastorale familiare della CEI del 1993 è chiaro e si dice chiaramente che i Consultori non sono strutture pastorali e che hanno una diversa prospettiva e una differente metodologia: la pastorale familiare è diretta all’edificazione della Chiesa e privilegia le risorse dell’evangelizzazione, la grazia dei sacramenti e la formazione spirituale, i Consultori si pongono nell’ottica di un’antropologia personalistica coerente con la visione cristiana dell’uomo e della donna e guardano piuttosto ai dinamismi personali e relazionali privilegiando l’apporto delle scienze umane.
Il Cardinale Martini sottolineava la distinzione e integrazione tra CF e pastorale familiare, in particolare sosteneva come i Consultori devono porsi al servizio della promozione umana e della maturazione dei fidanzati e sposi, che è una premessa indispensabile della formazione alla vita di fede.
Anche il Vescovo Napolioni, nel suo intervento all’Assemblea del 13 febbraio scorso, richiamava all’alleanza tra le due istanze. In ogni caso anche per il presidente Mosca i Consultori Familiari rimangono radicati in un’appartenenza territoriale con le comunità ecclesiali di riferimento o da cui hanno avuto origine, servendo i loro bisogni ma anche avvalendosi del loro contributo e integrando le loro risorse nella ricchezza della propria offerta di servizio. La pastorale familiare non può non porsi in un orizzonte esplicito di fede, il Consultorio invece guarda all’umano, persone e relazioni, guidato comunque da una visione cristiana dell’umano stesso. Qui riprendo quanto scritto dall’Arcivescovo Delpini nella Proposta pastorale di quest’anno, indicando come impegno ai dirigenti e operatori dei Consultori Familiari d’ispirazione cristiana, con il coinvolgimento dei consulenti etici, l’approfondimento dell’antropologia di riferimento, maturando la consapevolezza che l’accompagnamento della persona è sempre risposta ad una chiamata. Questo da una parte dice che l’ispirazione cristiana non deve essere percepita come un marchio limitante da cui liberarsi, mentre d’altra parte gli operatori dei CF sono invitati a condividere la visione dell’umano su cui si fonda.
Don Edoardo rilegge l’ispirazione cristiana in riferimento alla visione antropologia che mette al centro la persona e scrive che non possiamo che fare riferimento all’umanità di Gesù, mettendone in evidenza quattro aspetti:
- Primo: la dignità di ogni persona, che vuol dire rispettare l’unità fondamentale di ogni persona; per i Consultori significa evitare o resistere ad ogni riduzionismo in senso sanitario, psicologistico, giuridico; per esempio la procreazione responsabile interpella insieme inscindibilmente la biologia, gli affetti, la spiritualità;
- Secondo: nessuna situazione umana è priva di senso, anzi è occasione per scoprire il significato ultimo dell’esistenza; ogni situazione umana è quindi risposta ad una vocazione;
- Terzo: la carità, il dono di sé, la gratuità, la riconoscenza; vuol dire per es. che l’educazione sessuale non è mera informazione ma deve saper aprire alla vocazione all’amore, alla reciprocità;
- Quarto: la speranza nel vivere la rinuncia, il sacrificio, le scelte, l’accettazione della fatica spesso presente nelle relazioni di coppia e familiari.
Dal punto di vista degli operatori, c’è un’indicazione di don Edoardo che ritengo interessante per questo punto sull’ispirazione: la definizione di “cattolico” fa riferimento all’appartenenza alla Chiesa e al suo magistero in quanto tale, nell’ispirazione cristiana rispondo io in quanto battezzato responsabile della mia fede.
Il terzo punto che voglio toccare riguarda lo “stile”, cui sia negli scritti di don Edoardo che nell’intervento del Vescovo Napolioni si fa riferimento. Quest’ultimo ricordava come preferisca parlare di “esperienza” cristiana, di gesti, di prassi evangelica perché questo genera appunto uno stile, e ricordava l’incontro con FeLCeAF, nel quale il Papa consegnava ai Consultori d’ispirazione cristiana tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza. Per il Vescovo Napolioni, i Consultori Familiari d’ispirazione cristiana sono il luogo dove si può mostrare che può esistere una professionalità della vicinanza, della compassione, della tenerezza. Del resto sul sito di FeLCeAF ho trovato un testo in cui si descrivono i principi che contraddistinguono questo stile: accogliere nella sua globalità senza distinzioni di razza, religione, ecc.; ascoltare le persone nel loro bisogno, nelle loro storie, relazioni, legami, esperienze; prevenire il disagio incontrando le persone nei loro luoghi e contesti di vita; sostenere le persone nel cammino non sostituendosi nelle scelte; accompagnarle dal disagio al benessere.
Infine, sempre a proposito di stile, un’ultima annotazione di don Edoardo che stigmatizza gli opposti errori del timore del coinvolgimento affettivo e dell’ingenuità nel farsi coinvolgere emotivamente: la consulenza familiare, piuttosto che i caratteri formali della giusta distanza o la preoccupazione di custodire l’asimmetria tra operatore e chi chiede aiuto, dovrebbe invece ricercare quella giusta vicinanza attraverso un esercizio consapevole dell’empatia. Si tratta di un’annotazione contro ogni riduzionismo, cercando invece di vivere un’adeguata sintesi di ascolto e interventismo, di vicinanza e di distacco, di presenza e di assenza.