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Oggi vi presentiamo Debora Teoldi, consulente familiare del consultorio di Cinisello Balsamo, che fa parte di Fondazione Edith Stein, insieme a quello di Seregno, Desio, Bresso e Bruzzano.

“Ho iniziato a lavorare in consultorio nel 1996, dopo la nascita della mia prima figlia, come segretaria e volontaria”.

Di lì a poco cominci a formarti come consulente familiare…

Esatto. La tesi che ho redatto, a conclusione del mio corso di studi, ha avuto come focus l’analisi del lavoro di segreteria fino ad allora svolto, comparato all’attività di consulenza che mi ero preparata a svolgere. Francesco Biader, il padre di Chiara, attuale Direttrice della Fondazione, ricordava a tutti gli operatori di segreteria di essere soggetti attivi della prima accoglienza dell’utente; tale attività richiedeva, e richiede ancora oggi, che le persone fossero e siano adeguatamente formate a svolgerla, capaci di accogliere le persone portatrici di una sofferenza.

Che cosa occorre?

Giusta empatia e giusta distanza; se mi immergo nella lettura di un testo, ma lo avvicino troppo ai miei occhi non comprendo quanto scritto in modo adeguato: è necessario mantenere la giusta distanza per poterlo comprendere al meglio, mettere a fuoco i contenuti e sintonizzarsi sulle emozioni che trasmette.

Ora quindi tu sei consulente familiare. Di che cosa ti occupi concretamente?

In prima fase accolgo le persone nei colloqui di accoglienza/orientamento; presento le attività del consultorio e spiego loro il funzionamento consultoriale sia dal punto di vista organizzativo, che dal punto di vista dei contenuti, attraverso la descrizione dei percorsi attivabili.

La seconda fase è interna, con l’equipe, a cui porto la richiesta dell’utente: insieme cerchiamo di dare risposta al bisogno della persona con un approccio multidisciplinare.

Capita che un utente abbia più esigenze o più richieste?

Sì, certo. Quasi sempre è così. Il mio compito è proprio quello di fare ordine nella confusione, generata dalla fatica che vive e viene espressa dalla persona.

Che differenza tra il consulente familiare e l’assistente sociale?

Anche l’assistente sociale si occupa del primo colloquio; la sua formazione gli consente di accogliere e, contestualmente anche mantenere uno “sguardo specializzato” sui servizi esterni al consultorio, favorendo la creazione di una rete di supporto a favore dell’utente, quando e se opportuna.

E che differenza c’è tra il consulente familiare e lo psicologo?

Lo psicologo può analizzare quali siano le cause che hanno prodotto il disagio, anche lavorando sul passato. Il mio lavoro si concentra nel “qui ed ora” e getta uno sguardo sulle strategie adottabili in futuro, con la finalità di migliorarne la qualità percepita.

Quali persone si rivolgono principalmente a te?

Lavoro con coppie che hanno bisogno di uno spazio di confronto, o adulti che abbiano il desiderio/ bisogno di trovare qualcuno con cui confrontarsi in maniera più puntuale. Mi piace pensarmi un’operatrice di speranza, se questo significa che le persone, al termine del percorso, possono pensare ad un nuovo significativo progetto da realizzare.

Oltre ad essere consulente familiare, da qualche anno sei anche coordinatrice del consultorio di Cinisello Balsamo. Come gestisci questo ruolo?

Il lavoro di coordinamento occupa spazio ed energia: dedico il 70% del tempo al ruolo di coordinatore e il 30% all’attività di consulente; anche in questo ruolo sono chiamata a fare ordine, a rendere fluido il lavoro della intera équipe e a pensare il futuro partendo dall’oggi; non si può dire “ma si è sempre fatto così!”: si deve essere pronti al cambiamento e flessibili alle nuove esigenze interne ed esterne alla struttura.

È una struttura difficile quella di Cinisello?

No, non difficile, ma complessa, perché fatta di molte attività e di una équipe di professionisti numerosa e eterogenea.

Qual è la sfida più grande che vedi di fronte a voi?

Mantenere il desiderio di essere accanto alle persone, non diventando solo meri esecutori di “pratiche e procedure”.

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