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Agostina Sozzi nasce come pedagogista e lavora come educatrice per moltissimi anni. Dopo un’esperienza di tirocinio presso il servizio Tutela Minori, decide di approfondire l’ambito sociale e consegue una seconda laurea in Servizio Sociale. Lavora in alcuni comuni della provincia di Bergamo, occupandosi di disabilità, non autosufficienza e povertà. Si specializza in ambito familiare, conseguendo un master in Mediazione Familiare e uno recente in Coordinamento Genitoriale.

Inizia la sua esperienza in Consultorio Familiare, in particolare in quello di Clusone e quelli di Bergamo: “Scarpellini” e “Adolescenti e Giovani”.

Ma di che cosa si occupa concretamente un’assistente sociale in consultorio?

Accoglie e orienta le persone, partecipa alle équipe multidisciplinari, svolge colloqui nell’area sociale e si occupa anche di formazione nei gruppi.

L’assistente sociale è la figura che fa la prima accoglienza a chi chiede aiuto in consultorio, giusto?

Sì, io accolgo la persona o la coppia che si rivolge a noi.

E dopo il primo colloquio, cosa succede?

Dopo “l’analisi della domanda”, ovvero il bisogno espresso dalla persona, inizia un percorso basato sulla relazione di aiuto con la figura più adatta alle necessità individuali.

È sempre un professionista psicologo o psicoterapeuta a prendere in carico l’utente?

Generalmente sì. A meno che emergano bisogni in area sociale anche durante un percorso già avviato; a quel punto offro la mia consulenza agli altri colleghi, attraverso colloqui separati o congiunti.

Come si fa a capire di che cosa ha bisogno una persona?

Attraverso un “ascolto attento” di ciò che la persona esprime ma anche di ciò che non viene dichiarato dalla stessa. L’assistente sociale rileva il bisogno attraverso una lettura trasversale, in un’ottica globale, tenendo conto delle notizie anamnestiche, ambientali, gli stati d’animo, le dichiarazioni e i bisogni non espliciti.

Come è possibile, se non sono espliciti?

Durante il percorso di aiuto i professionisti accompagnano la persona ad una “presa di consapevolezza” della loro situazione anche rispetto ad altre problematiche non espresse e fatiche personali/familiari che limitano il cambiamento e il benessere psico-sociale.

Che cosa significa orientare le persone?

Illustrare, anche su un piano pragmatico, tutta la rete dei servizi del territorio, i professionisti che possono aiutare, le procedure e le pratiche per chiedere servizi di aiuto e sostegno.

Lavoro di grande responsabilità…

Si, ma non lavoro da sola in consultorio. Dopo il primo colloquio, mi confronto in équipe con i miei colleghi. Questo momento di scambio e riflessione interdisciplinare rappresenta un momento arricchente, di crescita e di grande riflessione.

Che doti deve avere l’assistente sociale?

Una buona capacità di ascolto “autentica”, avere doti e competenze comunicative, un atteggiamento non giudicante, un approccio empatico. L’assistente sociale dovrebbe evitare le formalità di un protocollo, privilegiando decisamente la dimensione relazionale per motivare al cambiamento.

Rimangono ancora resistenze e pregiudizi verso l’assistente sociale?

Sì, molte. Nell’immaginario collettivo l’assistente sociale ha un ruolo di controllo, di giudizio, è una presenza penalizzante quasi soffocante e “da evitare”. Invece lavora per la promozione e lo sviluppo della persona, della coppia e della famiglia.

Un’assistente sociale non può portare via i figli a una coppia?

Assolutamente no, se non c’è una disposizione del giudice legata ad una situazione di grave pregiudizio del minore.

Per quali motivi un adulto può avere aiuto dell’assistente sociale?

Potrebbe aver bisogno di aiuto rispetto all’assistenza nei confronti di un familiare; in una situazione di vulnerabilità sociale (con scarsa rete sociale e familiare); di isolamento ed emarginazione, di povertà non solo economica, di sostegno ad una famiglia affaticata (separazione, divorzio) o nei confronti di una persona con disabilità; nelle dimissioni protette (successive ad un ricovero), per conoscere il funzionamento e l’accesso ai servizi del territorio e per sviluppare progetti al singolo o alla famiglia.

L’assistente sociale lavora solo in consultorio o in comune?

No. L’assistente sociale è presente anche nei CPS (Centro Psico-Sociale), nei SER.D. (Servizio Dipendenze), nel Terzo Settore, nelle RSA, in NPI (Neuropsichiatria Infantile) e in Ospedale. L’assistente sociale si occupa anche di formazione professionale nei corsi regionali per Assistenti Familiari, ASA e OSS. Si può occupare anche di docenza universitaria.

E nelle scuole?

L’assistente sociale si occupa dell’inserimento dello studente disabile nella scuola, attraverso un Progetto Individualizzato, affiancando alla persona l’Assistente Educatore.

All’estero è prevista la presenza dell’assistente sociale scolastica allo sportello d’ascolto, affiancata allo sportello psicologico (già in vigore in Italia).

In futuro l’assistente sociale verrà prevista anche in azienda, in ottica di “welfare”. Potrà rivolgersi a dipendenti che stanno vivendo un momento di fatica personale e familiare, orientandoli e agevolandoli nel modo più efficace, abbattendo così i costi per l’azienda. Basti pensare a permessi, ferie, malattia, di cui un dipendente caregiver deve usufruire per risolvere le questioni personali e familiari…

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